Lakhdar Brahimi teme il consolidarsi di uno scenario di tipo somalo
Damasco, 3. L'intensificarsi delle violenze in Siria - compreso il nuovo attacco sferrato alla cittadina cristiana di Maalula, sessanta chilometri a nord di Damasco, dove milizie islamiste hanno fatto irruzione nel convento di Santa Tecla e rapito dodici suore ortodosse - conferma il deterioramento di una situazione alla quale gli sforzi diplomatici internazionali non riescono ancora a porre argine. Diversi osservatori sottolineano, anzi, il rischio che nel Paese si consolidi uno scenario in profondo mutamento rispetto all'originaria ribellione, quasi tre anni fa, contro il Governo del presidente Bashar Al Assad, uno scenario segnato anche da alcuni episodi di violenza specificamente anticristiana.
Altre formazioni islamiste, quelle del cosiddetto Stato islamico dell'Iraq e del Levante, hanno trasformato in proprie basi le chiese armene dei Martiri e dell'Annunciazione, nella città di Raqqa, già danneggiate nelle scorse settimane. Il gruppo è ritenuto responsabile, tra l'altro, del sequestro di padre Paolo Dell'Oglio, del quale mancano da mesi notizie certe.
Alle violenze dei gruppi ribelli si sommano quelle imputabili al Governo di Damasco. Ieri l'alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navanethem Pillay, ha affermato dall'inchiesta dell'Onu sono emerse le prove che il presidente Assad ha autorizzato crimini di guerra e crimini contro l'umanità in un conflitto che ha ormai provocato quasi 126.000 morti, un terzo dei quali civili, compresi più di seimila bambini, secondo l'ultimo bilancio diffuso da organizzazioni legate all'opposizione siriana.
Al pericolo di una cronicizzazione del conflitto ha fatto riferimento ieri l'inviato per la Siria delle Nazioni Unite e della Lega araba, Lakhdar Brahimi, in un'intervista alla televisione statale svizzera, insistendo sulla necessità di raggiungere un rapido accordo per evitare che la crisi trasformi il Paese in una nuova Somalia, dove spadroneggino signori della guerra, milizie e gruppi combattenti. Il diplomatico ha quindi auspicato che Arabia Saudita e Iran partecipino alla conferenza internazionale per la pace in Siria, nota come Ginevra 2, prevista per 22 gennaio dopo molti rinvii. Brahimi ha comunque confermato che i belligeranti siriani non sembrano intenzionati a raggiungere un cessate il fuoco in vista dei colloqui a Ginevra.